4 domande a Gionata Venesio

(En.vi) Ha coraggio per affrontare le circostanze complicate, qualche volta anche impopolari connotate da una visione manichea delle situazioni come nel caso del cibo territoriale assolutamente vanto del nostro Paese. Gionata Venesio monferrino che risiede a Serralunga ha 46 anni e anche per ragioni anagrafiche potrebbe essere inserito nella terza generazione di coloro che si occupano di alimentazione e di vino, "cultura pura" alla quale la gente si sta abituando.
Il 20 giugno scorso, invitato dal presidente del Kiwanis Club di Vercelli, Rachelina Orsani, al Circolo Ricreativo, ha parlato del vino con le bollicine, ovvero del mondo smisurato degli champagne. In un certo senso, questo "vino da re" è coevo del riso. Infatti entrambi sono "medioevali" con l'aiuto dei benedettini impostisi dal XIII secolo nelle grandi fattorie collettive e della collina della Pianura Padana. Nel 1670, dopo guerre e saccheggi che piegarono la Francia, più del riso lo champagne conservò una "traccia storica" cui ci si riferisce in tutto il mondo: il giovane abate dom Pierre Pérignon. Egli arrivò ad Hautvillen, trovò i vigneti di Pinot noir disastrati, si mise al lavoro e, voila, ecco lo champagne di oggi nel nord della Francia contenuto in bottiglie che resistono alla anidride durante la maturazione, ai tappi di sughero e alle etichette inconfondibili, oltre al vino di grande qualità in genere ottenuto da piccoli ma abilissimi vignaioli. Gionata Venesio – si diceva – è molto coraggioso. Manager del vino parla della sua specialità nel cuore della enoviticoltura italiana che ultimamente ha battuto economicamente quella francese e dove i nostri vignaioli sono gelosissimi delle loro abilità qualitative. Fra breve a Rosignano Monferrato, sede di una rinomata cantina sociale, Venesio ha in progetto di aprire una "casa dello champagne". Inoltre, il manager è amministratore delegato della Cuvèe srl, società di import di champagne e vini di pregio, e per la Fisar è direttore formativo dei corsi per sommelier nonché esperto di cucina con l'esaltazione contemporanea della Accademia dei sapori. Nelle sue schede informative, che anche rinviano ad una scuola ligure privilegiando pane e olio di oliva di Liguria, campeggia un titolo: cuochi si diventa. Questo stesso titolo riassume il suo atteggiamento rispetto ai piatti regionali, base per il turismo che sta diventando sempre di più un volano economico in tutta la penisola. Con molta delicatezza, Gionata Venesio esprime anche le sue opinioni sulle posizioni, forse eccessivamente rigide di organizzazioni agricole, nei confronti degli alimenti etnici, uno dei tanti aspetti della integrazione che l'Europa riesce a raggiungere con tanti sforzi.
Ecco, domande e risposte di Gionata Venesio in una intervista predisposta dal Kiwanis Club.
  • A Roma, recentemente e con un seguito apprezzabile, la Federazione Coldiretti ha dichiarato guerra allo street food, sostenendo che esso, per le vie e proposto dai migranti, contamina grandemente la tradizione gastronomica e alimentare italiana che è anche nostro retaggio culturale. In più: l'organizzazione professionale agricola ha chiesto ai sindaci italiani di vietare lo street food a base di piatti asiatici o dell'Europa dell'Est. Politicamente, questo atteggiamento "leghista", o "all'inglese", è idoneo a sostenere l'individualità alimentare italiana, o è al di sopra delle righe?
E' a mio avviso al di sopra delle righe.
La nostra tradizione gastronomica è fortemente strutturata e riconosciuta a livello internazionale. Le cucine dei nostri ristoratori sono attente nel mantenere saldi i principi della cucina mediterranea, se mai attingendo qua e là qualche rivisitazione perché no, anche dalle interpretazioni più esotiche. Resta comunque saldo il principio che alcuni piatti che della nostra cucina sono il vanto non possono in alcun modo essere contaminati da inflessioni culturali diverse.

Personalmente sposterei l'argomentazioni su un livello decisamente più basso, ovvero sulle condizioni igienico alimentari con le quali lo street food viene offerto ai consumatori.
Ecco, questo credo sia il vero argomento da trattare.
  • Fra Ottocento e Novecento Pellegrino Artusi offrì ricettari moderni, traendoli dalla cucina regionale delle nostre nonne, di conservazione e di valorizzazione della cucina corrente. Le "nuove cucine" abbastanza "sordamente", in realtà sono nemiche di Artusi e dei suoi ricettari provenienti dalla tradizione. E' un errore o, come talvolta accade ai cuochi stellati, è una maniera goliardica di cambiare, andando contro corrente?
Non vedo grandi variazioni sul tema della cucina di Artusi, piuttosto un lento e progressivo tentativo di adattarsi alla materia prima che volente o nolente è in ogni caso cambiata nel corso degli anni, modificando conseguentemente l'armonia finale del piatto.
Alcuni chef tentano invece funamboliche variazioni sul tema, ma con discutibili risultati.
  • Alla fine degli anni Trenta del Novecento, Filippo Tommaso Marinetti e il movimento futurista proposero il sovvertimento della cucina della tradizione, privilegiando il riso al posto delle paste. Ma, a quanto pare, anche Vercelli i cuochi stellati accettano "tiepidamente" il riso sostenendo che è un cereale povero, non adatto ad una cucina internazionale. Questa posizione è giusta o sbagliata, e così danneggia di conseguenza il nostro territorio di "terre d'acqua"?
Il riso è uno degli alimenti più utilizzato dalle cucine interanzionali. Alimento ricco di sostanze nutritive aminoacide bene si presta alle preparzioni più disparate.
Sarebbe un errore enorme soprattuto nel nostro territorio dimeticare le nostre tradizioni contadine e sostituire il riso con la pasta.Perderemmo i piatti migliori mai realizzati dai cuochi famosi nel mondo che hanno tracciato le basi della cucina moderna. Uno per tutti Marchesi con il suo risotto con foglia d'oro.
  • In anni in cui la viticoltura italiana si è definitivamente imposta nel mondo diventando la prima al posto dei francesi, i "nuovi ricchi" indugiano ancora sugli champagne, ritenerdo "da perfetti provinciali" che lo champagne sia il top dei vini. Come giudica un esperto questi atteggiamenti, ripetiamo "molto provinciali"?
L'Italia ha surclassato la Francia i quanto a quantitativo di vino prodotto, ma purtroppo non in fattore di qualità.
Lo champagne gode ancora di un retaggio culturale e di una storia che nei secoli ha contribuito a renderlo quello che è, un vero status symbol.
Concordo con Lei che il valore di questo vino è da ritenersi oggi sovente ingiustificato e sovrastimato.