Sant’Andrea e Lucedio, luoghi del cuore

di Enrico Villa
Il FAI (Fondo Ambiente Italiano) per il Vercellese ha indicato luoghi del cuore l’abbazia di Sant’Andrea di Vercelli e il Principato di Lucedio di Trino. E la delegazione di Vercelli, di cui è responsabile l’architetto Maria Bice Sartoris, ha promosso una raccolta di firme, cinquantamila, che con il finanziamento dell’Istituto Bancario San Paolo ed il riconoscimento internazionale dovrebbe portare al restauro e alla valorizzazione ulteriore dei due monumenti, perle architettoniche del XIII secolo italiano. Con il sostegno e le indicazioni di tutte le forze politiche e culturali vercellesi, il 22 settembre scorso in una riunione nel Comune di Vercelli è stato illustrato alla città e alla sua provincia l’iniziativa della raccolta delle firme. L’adesione dei partecipanti alla riunione è stata unanime. Anche il Kiwanis Club di Vercelli si è messo a completa disposizione, confermando di adoperarsi in ogni modo per la raccolta delle firme tra i soci e non.
Maria Bice Sartoris rileva, fra l’altro, che l’iniziativa è anche in relazione all’Expo 2015 che sarà inaugurata il primo maggio 2015, vale a dire fra meno di un anno. La rassegna mondiale è fondata sul cibo, energia della vita. E nel primo ventennio del 1200, sia l’abbazia di Sant’Andrea che il Principato di LucedioPrincipato di Lucedio sono stati storicamente importanti sia da un punto di vista culturale, sociale e anche per i progressi dell’agricoltura senza i quali non avrebbe potuto svilupparsi il territorio vercellese. L’architetto Sartoris ricorda i protagonisti di quegli anni. Il cardinale Guala Bichieri, legato pontificio in Gran Bretagna che da diplomatico e esperto giuridico contribuì alla redazione e alla promulgazione della Magna Carta, alla base delle costituzioni moderne le quali si reggono sui diritti-doveri dei cittadini. Inoltre, richiama i monaci cistercensi venuti dalla Borgogna i quali affrontarono la bonifica della pianura delle Grange, originariamente un’intricata foresta, che nelle terre del principato di Lucedio avviarono colture essenziali per la nutrizione delle popolazioni, fra cui il riso proveniente dall’Oriente.
L’abbazia di Sant’Andrea in questi mesi sta evidenziando gli ulteriori pesanti insulti del tempo che per i restauri, giudicati urgenti, richiedono consistenti finanziamenti e interventi pubblici. L’abbazia, voluta dal cardinale Guala Bichieri che impegnò il suo patrimonio, è stata completata nel 1227 secondo la collocazione di Umberto Chierici, già sovrintendente ai monumenti del Piemonte e critico d’arte che nel 1968 su Sant’Andrea fu autore di un’importante volume edito dall’allora Cassa di Risparmio di Vercelli. E che sottolineò come nella storia dell’abbazia il capitolo dei restauri in quasi ottocento anni è stato ricorrente. Il primo restauro importante fu attuato per iniziativa dell’abate Gaspare Pettenati dei Canonici Regolari Lateranensi fra il 1511 e il 1519. Un altro restauro fondamentale, dopo i provvedimenti napoleonici anche alla radice del passaggio di proprietà di Sant’Andrea  alla Municipalità vercellese, fu negli anni 1822-1823 per iniziativa di Carlo Emanuele Arborio MellaCarlo Emanuele Arborio Mella, nel 1841 anche fondatore dell’Istituto di Belle Arti. Per i restauri ottocenteschi, perorati dall’arcivescovo Giuseppe Maria Grimaldi, fu costituito un comitato di cittadini vercellesi con caratteristiche simili all’alleanza in comune del 22 settembre per la raccolta delle firme indispensabili per gli attuali urgenti restauri. Carlo Emanuele Arborio Mella, che era avvocato però amante del disegno e dell’arte in senso lato, 191 anni fa fu anche autore di vedute acquerellate di Sant’Andrea, a suo tempo riprodotte dal Museo Leone e che sono diventate per i possessori preziosi pezzi d’antiquariato. Le scelte di una città, volte alla preservazione dell’abbazia, dal Museo Leone sono state poi raccontate in una pregevole pubblicazione della primavera del 2005, con la prefazione dell’allora presidente dell’istituzione Amedeo Corio. Un’altra rilevante pubblicazione del canonico Romualdo Pasté e Federico Arborio Mella, con l’iconografia di Pietro Masoero grande fotografo vercellese della seconda metà dell’Ottocento, uscì nel 1907 con i tipi della tipografia Gallardi e Ugo. Questa stessa pubblicazione, semplicemente intitolata L’Abbazia di Sant’Andrea di Vercelli, è un preciso riferimento per corsi all’Università di Trieste. Da allora, i libri sulla abbazia e sulla necessità di restauri che culminarono nel 1926 nonché negli scorsi anni Ottanta/Novanta, sono stati innumerevoli. Ma, al di là della volontà di quanti desiderano preservare i luoghi del cuore non sono stati per decisivi e tali da garantire il bel Sant’ Andrea - così la definizione ricorrente di diversi autori -per il tempo che verrà. Destino analogo potrebbe riguardare il Principato di Lucedio dove, in parte, i restauri dell’antico convento cistercense medioevale sono stati attuati e nel cui ambito è una importante azienda agricola. Forse questa struttura economica ha aiutato a mettere al riparo il Principato. Ma ci vorrà ben altro, soprattutto la mano pubblica, per mettere in sicurezza le testimonianze delle varie epoche di Lucedio, incominciando dal suggestivo cimitero dei monaci.